sabato 25 maggio 2013

Le cronache del vetro (già la pioggia è con me)


E’ in giorni come questi che mi sento particolarmente vicino alla pioggia. Sì, la pioggia; proprio la pioggia. Quella serie sconnessa e continua di goccioline. Quella pioggia c’è sempre quando sei solo e hai bisogno di compagnia.

Quel rumore continuo, quello sfondo sereno che colora tutto di pulito, di nuovo. Sono lacrime del cielo, quelle che ti cadono addosso, mentre sei in strada con i tuoi auricolari o mentre guardi la vita dal retrovisore della tua macchina nel tentativo mai troppo ingenuo di mutilare il suono dei tuoi tormenti.

E’ il suono nuovo e tranquillo di un impatto delicato, quello che ti percuote quando ti cade addosso: di intensità variabile, un po’ come i pensieri.

A me piace uscire con la pioggia. Mi piace sentirla addosso, tenerla con me quel tanto che basta per realizzare che sono parte anch'io di questo magnifico impatto col mondo, che quelle lacrime, magari, sono anche per me o che, in alcuni casi, possono fare compagnia alle mie.

La pioggia mi fa sentire vetro. Così leggero e sottile, sento il riverbero dei miei pensieri sotto quello di quelle goccioline, di quel ticchettio continuo che fa l’acqua quando viene giù e s’infrange con il mondo, contro il mio mondo, protetto inverosimilmente dal mio corpo, dalla mia razionalità, ma mai abbastanza opaco perché non riesca a rispecchiarmici dentro.

Mi perdo in quelle traiettorie curvilinee, in quei cerchi concentrici che l’acqua disegna quando cade su se stessa e penso che, alla fine, non sono così differente, io, da questo perturbante fenomeno acquoso. Io con i miei pensieri obliqui, intenti in mirabolanti esplorazioni del mondo, ma sempre pronti a ricadere su se stessi, a ridisegnare linee nuove sulle vecchie, a ripropormi in centomila modi diversi, pur sapendo che io sono sempre uguale.

E’ strano, lo so, ma quando la mia vita era vincolata, anche per 10 minuti, a quel finestrino, su quell'autobus che mi portava lontano, per più di un paio di volte a settimana, mi sembrava che avessi più tempo per rifletterci su. La pioggia aveva un rumore diverso dietro quel vetro e quando scrosciava, potevo sempre tenere qualche pensiero a riparo, al calore della noncuranza.

Ora, però, sono passati già due anni. Due anni dalle corse sfrenate per non perdere quell'ultimo autobus, in grado di riportarti a casa, due anni dai caffè che ti stordivano, da quel sapore amaro e da quel colore torbido che tingeva le ore più piatte, due anni dalle incertezze iniziali e il salto di continuità che il mio mondo ha fatto, perso nei meandri di un futuro che non sapevo ancora se fosse il mio o se fosse l’ombra di qualcos'altro, due anni tra i compagni improvvisati e i conflitti con le proprie ambizioni..

Due anni, e la pioggia era ancora lì, come ora. Pronta, come al solito, a scurire i cieli e rischiarare gli animi, mentre io, beh.. Sono più altrove che mai. Così tanto che non riesco neanche più a tornare, così tanto che mi accorgo che il passato non si può replicare. Così tanto che quella pioggia, ora, non mi passa più addosso, alla stessa maniera, ma quasi mi passa attraverso. Sì, attraverso.

Perché, per me, le nubi maggiori sono quelle che coprono la luce del sorriso, che rendono opachi e grigi anche i canini più bianchi e che, anche quando vanno via, si attanagliano dentro il cuore. Le nubi maggiori, sono quelle che non si vedono, ma a cui tengo di più: quelle che mi ricordano che un domani ci sarà la luce e che forse non sono ancora pronto per vederla, quelle che mi coprono i pensieri e non mi fanno mai sentire solo. Quelle che mi ricordano, con un po’ di amarezza e un filo di speranza, che dentro di me non ha mai smesso di piovere, ma che forse un giorno arriverà la luce, anche per me. Forse.

Francesco Dell'Orco

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