venerdì 29 novembre 2013

Antropologia del sabato italiano - l'animatore della serata

TRA MITO E REALTA'

 “Un sabato qualunque, un sabato italiano” cantava Sergio Caputo negli anni '80, quando il sabato sera ci si divideva come in fazioni politiche tra le pizziate parrocchiali e di quartiere, gli appuntamenti con i compagni di liceo, davanti ai fast food di casa nostra, e le discoteche scintillanti e ricche di cocaina, nei cessi del piano di sotto.

Sono passati trent'anni da quei favolosi anni '80 e forse non ci siamo accorti che la sera del sabato è ancora scandita da ritualità e usi per niente tramontati e forse solo in parte rivisitati.

 Qualche sabato fa mi è capitato di trascorrere una serata con alcuni amici in una pizzeria non lontana dal centro di Milano.

Ci siamo ritrovati catapultati dopo secoli in una classica tavolata italiana, almeno 25 persone, con l'impossibilità di risalire agli intrecci che legavano gli uni agli altri in quel tavolo. La pizzeria adottava quel sistema in voga negli ultimi anni: “All you can Eat”, ovvero mangia fin che puoi!

Questo motto si traduce nei fatti in camerieri che ti lanciano pezzi di pizza nei piatti, gente che rincorre camerieri con in mano pezzi di pizza alle acciughe, insomma una piacevole bolgia italiana in un sabato autunnale.

Tutto nella norma, ma mancava un elemento ad arricchire e completare la serata: un vero must del sabato italiano: l'animatore della serata.

Così dal fondo della sala ecco che spuntava un ragazzo non molto magro, con una polo stile impiegato del catasto, con la pancetta e l'accento similmente vicino a quello campano. Era lui, L'ANIMATORE!
 L'essere mitologico più temuto in questo tipo di locali. L'incubo di ogni individuo dotato di un minimo di sensibilità e senso del pudore.

 L'animatore in genere viene scelto non per la sua bravura o intelligenza, ma al contrario, per la sua ignoranza e poca sensibilità. Anzi, più sei stato una capra a scuola e più avrai possibilità di fare l'animatore da grande! Te lo scrivono anche gli insegnanti nelle scuole sperimentali sulle schede orientative agli esami di terza media.

Solitamente l'animatore nelle mattine in cui non fa l'animatore si dedica ad altri tipi di lavori, nella maggior parte dei casi è commesso in un negozio di scarpe o vende auto usate o quando gli va male procaccia affari di ogni tipo: dai telefonini agli affitti di appartamenti in nero. Alcuni lavorano anche nei call center outbound, pare.

L'animatore veste davvero come qualsiasi impiegato statale nelle giornate più calde dell'estate, indossa scarpe da tennis e se hai la sfortuna di essere avvicinato ha sicuramente l'alito puzzolente.

Il suo repertorio non prevede mai colpi di genio, vive sull'eredità di chi lo ha preceduto, per questo il karaoke è il suo pezzo forte e se hai “culo”ti propone un gioco collettivo sul maxi-schermo.

E infatti, quella sera ci propinò un gioco di gruppo, una sorta di “Chi vuol essere milionario” de noialtri, una sfida tra tavolate a chi ne sapeva di più in discipline che andavano dallo sport alla grammatica, dalla storia alla cucina.

Dopo qualche domanda, il gioco ravvivò l'interesse di tutte le tavolate, anche di quelle più scettiche, gente che gridava la risposta più giusta, gente che bestemmiava e gente che sperava di vincere davvero.

Ovviamente avesse giocato lui, l'animatore della serata, non ne avrebbe azzeccata nemmeno una, ma questo è solo un dettaglio. La cosa più sconcertante è stata assistere al successo della serata, a riprova che il sabato sera, al di là delle mode e dei momenti, rimane un momento di vera italianità, un trionfo del made in Italy, un orgoglio nazionale, perché in fondo “il peggio SEMBRA essere passato...”

Andrew "Clear" Bevacqua

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