lunedì 27 gennaio 2014

Il tempo è un maglione di lana infeltrito

Quando ero molto giovane pensavo di poter stabilire cosa avrei fatto della mia vita. Pensavo che ogni azione, ogni mio pensiero potesse condurmi in una direzione e che quello sarebbe bastato per realizzare ogni mio desiderio.

Quando ero molto giovane ero un altro promettente idealista. Partendo solo da una visione avrei modificato il mio destino.

Sono abbastanza lontani quei tempi e adesso ho capito che una barca sta in mezzo al mare non certo perché tu possa dirigerla e governarla, ma solo perché qualcuno più stronzo e cinico vuole lasciartelo credere. Ci prendono gusto a farti sentire quel maledetto capitano, quel dannato, iracondo, miserabile capitano Achab! Qui però non ci sono comandanti, e non ci sono vascelli da guidare. Ci è concessa una misera pagaia con cui gestire questa canoa impazzita dentro un mare sterminato, in un infinito vuoto che ci inghiotte per risputarci illusi, stanchi, inutili.

Il tempo guarirà tutto, sapete come? Uccidendolo. Ecco il vero rimedio del mondo. La morte. La fine del ciclo biologico corrisponde con la risposta, la soluzione a tutto quello che non abbiamo compreso è come una balena bianca. Una munifica ossessione, un urlo mozzato che rimane in gola; un senso di vuoto che ci rende liberi, vittime, in catene, responsabili, fratelli di dolore e di incomprensione, sperduti figli di un sogno, di un ideale di immortalità.

La vita non lascia scampo e non ti da il tempo di imparare e di conoscere risposta, la morta come l’amore finisce, è passeggera e illusoria. Eppure noi, nonostante abbiamo tanto da perdere, osserviamo, muti, con occhi di dolore, di chi non ha conoscenza e di non vuole comprendere, che la vita ha un solo scopo, volgere verso un finale.

Eppure dentro molte cose noi VEDIAMO qualcosa di continuativo, che possa farci credere alle nostre battaglie, al nostro scopo. E qualcosa ci resta, appiccicato addosso, come un frutto, ci sporca le mani di materia zuccherosa, e questo zucchero, questo succo è ciò che impariamo, ciò che conserviamo, come se fosse lo scrigno dei pirati, un tesoro senza nome né serratura.

Siamo noi che associamo la dolcezza allo zucchero. In natura non ci sono sapori e nemmeno sensazioni.
Non sappiamo di che sapore sia la morte né che colore abbia. Potrebbe essere anche una cosa che non si materializza per niente, potrebbe invece essere una salsa messicana che non vuole mollare quel bel maglione di lana merinos a cui ci tenevi tanto.

La morte è un maglione rosso di lana, che si sfilaccia, lavaggio dopo lavaggio, che si infeltrisce e che si consuma.

Noi, sciocchi, insensibili, la chiamiamo vita, mentre quella è solo un mezzo, un veicolo che ci conduce da un punto all'altro. Potremmo chiamarla anche trasporto, potremmo anche pensare che c’è bisogno di un casco, di ginocchiere e di altre protezioni, ma in realtà non esiste alcuna messa in sicurezza, così come non ci sono cantieri aperti né tanto meno norme da applicare, qui.

Siamo dei semi fluttuanti che grazie a un fortuito intervento del tempo giacciono per un piccolo periodo nella calda oscurità fino a maturare e a divenire respiro, sorriso, e poi sbadiglio, ansia, sudore, velocità, adipe, malinconia.


Little Faith


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