mercoledì 12 marzo 2014

Fuori sincro

Ho la memoria a pezzi. Distrutta da anni di vizi indispensabili. E poi ci sono le notti insonne passate a fumare qualcosa e a bere di tutto per rinfrancare un’anima che ha tante mancanze e che, nonostante il mondo, continua a sopravvivere. Ho visto albe immense nella loro luce e cieli di un azzurro chiaro… fino a perderne il conto. 

Rincasare per dormire quando il mondo si è appena svegliato era diventata una cosa normale. Mentre fuori sorgeva il sole io ero al buio. Mentre tutti portavano avanti le loro questioni io ero fermo. Dormivo, immobile nelle mia stanchezza. Con la bocca che sapeva di alcol, con le labbra vissute, e le ossa rotte dal mio girovagare. Avevo ed ho una vita fuori sincro. La giornata di oggi è dello stesso indefinibile colore delle altre. Né grigia, né gialla, né rossa, al massimo blu o violacea. Per una qualche ragione, dopo un sonno disturbato, penso che è il caso di alzarmi. Per una qualche ragione mi ricordo che mi è rimasta ancora un’ora di lezione. Alzarsi alle 4 del pomeriggio ti fa sentire terribilmente indietro. E adesso che cosa dovrei fare? Vestirmi, mangiare qualcosa, precipitarmi in aula. 

Sapevo già che non sarei arrivato in tempo. Sarei arrivato al cubo 18 c con il fiatone. Scendendo le scale avrei incontrato qualche collega e un saluto appena accennato mi avrebbe fatto archiviare il suo volto sveglio già da tante ore. E’ deprimente arrivare alla fine di una lezione, soprattutto se ti ritrovi ad essere un fuori sede che è lì per frequentarle. La cosa che pensi subito, dopo aver ripreso fiato è quella di non valere un cazzo. Schifosi e merdosi sensi di colpa. Il mantenuto da casa. Il giovane che non combina niente. Basta. Il problema è che le uniche cose buone che so fare non possono rendermi indipendente. La lezione è finita, la mia giornata è appena cominciata. Prima di uscire dal cubo, mi soffermo sulla bacheca per leggere qualche notizia. Non trovo niente. In giro non c’è niente, solo io e la mia solitudine che come da bambino è pronta ad aprirsi al mondo se solo fosse più gentile. Esco dal cubo, vedo qualche studente che pensa ai cazzi suoi correndo da una parte all'altra. Solo io non ho nulla da fare? E no!

Sei fuori sincro!

Non raccontiamoci cazzate! Sei all’università, volendo avresti sempre qualcosa da fare. La verità è che niente mi sembra non rimandabile ad un secondo momento. Devo ancora bere e mangiare. E intanto è già il crepuscolo e la notte a me non porta sonno ma solo voglia di vivere. Perché il buio nasconde le imperfezioni, anche quelle della tua anima.
La notte è il momento adatto per girare ed incontrare qualche faccia amica. Gente come te, che passa ancora il tempo a smanettare sul computer e buttare giù qualche schizzo vivendo con e per le sue passioni, nonostante tutto. Sì, disegno. Mando avanti opere sperando nella svolta, nella rivincita su un mondo fatto di cose concrete. Ma perché?! Le mie non sono cose concrete? Far vedere agli altri un pezzo dei miei sogni non è una cosa concreta?!
Quello che mi frega sono i sogni. Sempre a dargli retta, sempre a cercare di non farli morire dentro per non spegnermi, per non lasciarmi andare.
I numeri, gli affari, i compiti, gli appuntamenti, le scadenze: ecco il mondo che non riesco a farmi piacere, ecco la vita che non riesco a vivere.

Sei fuori sincro!

Tutto si regge su cose pesanti e vuote, su mode, sviluppi, sull'aumento dell’indifferenza e il dilagare di dolci e artificiose amicizie. Io ho le tasche bucate, considero ancora le cose inutili esattamente come cose inutili e mi guardo bene, ma proprio bene, dal cadere nelle convenzioni della buona e produttiva società. Intanto cammino guardando la punta delle scarpe macchiate dallo smog di questa ridente città. Per la prima volta mi rendo conto che ormai anche loro sono diventate vecchie e avrei voglia di cambiarle. Cammino ancora sotto la luce dei neon del ponte coperto. Il mio sguardo punta in fondo, verso l’uscita, e sembrerà stupido ma quei bagliori artificiali sembrano riempire l’aria di idee e discorsi inespressi. In giro adesso c’è sempre meno gente ed il ponte è deserto.

Prendo un bel respiro per rendermi conto che posso sentirmi bene con poco. In quel momento mi scordo di tutti i pregiudizi, di tutti quegli sguardi assenti e qualunquisti di quelle facce di merda che incontro in giro. Fanculo a chi non mi capisce, a chi fa finta di farlo, a chi mi sopporta invece di apprezzarmi, a chi pensa per me, a chi crede che debba fare altro, fanculo agli ottusi, agli ignoranti, ai superficiali, ai luoghi comuni, a chi si crede il detentore della verità, a tutta quella merda che vedo in giro, ai raccomandati senza valore, fanculo ai saccenti presuntuosi, ai furbi che vogliono fregare le brave persone, a tutta quella umanità  che cerca di distruggere la bellezza  e fanculo a questi fanculo che sono solo una lista di enormi luoghi comuni che però fanno incazzare lo stesso.

Sei fuori sincro!

Io ci sono ancora, oltre l’indifferenza di chi non ha capito che davanti a noi c’è solo la morte che si nasconde dietro uno specchio che ci riflette per farci pensare ad altro, a noi. Parliamo anche di questi sogni del cazzo che mi urlano a squarcia gola dentro la pancia, la testa, il cuore e  cui non gli dirò mai di smettere. Mi schifo nella parte dell’adolescente esistenzialista e problematico  che ha letto qualche libro e visto qualche film. Ma cosa posso farci io se l’amore è uguale per tutti? Se le parole sono sempre ridondanti come i sentimenti che forse nemmeno esistono. Sinapsi, ormoni, tutto spiegato dalla scienza.

Macchine o Meraviglie? Che cos’è l’uomo? Smetto di pensare anche perché ho già vomitato troppe parole. Un discorso dovrebbe avere un inizio ed una fine ma io nella strada che va dal punto A al punto B mi perdo sempre. 

Immagino C, D, E, penso ad F, e a tutte le altre lettere di ‘sto alfabeto di merda che dietro la sua finitezza nasconde un’infinità di parole.  Rigo dritto, a passo sicuro, in quest’aria di primavera, con i miei disegni, la mia musica…vado avanti con questo mio misero niente che ad uno stronzo come il sottoscritto sembra essere tutto.

Tratto da un racconto NON autobiografico
Danilo Russo

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