lunedì 10 marzo 2014

La grande bellezza - un film di Paolo Sorrentino

Devo confessarlo: sono tornato sul luogo del delitto.

Dovevo tentare di capire che cosa mi avesse tanto profondamente turbato da arrivare quasi a litigare con cari amici, quasi come se criticando duramente lui, avessero censurato qualcosa di me. Come se, sbeffeggiando Jep, avessero offeso me.
Una situazione, per me, inconsueta (almeno dai tempi della raggiunta "maturità").

Non poteva essere la descrizione del "vuoto" quella che mi aveva conquistato. Non era la denuncia della volgarità di un ambiente, nè l'affresco di una decadenza demenziale di anime e di corpi rifatti. Non era la critica a una classe dirigente che ha fatto della decomposizione la sua cifra stilistica. Almeno, non poteva essere solo questo.

Allora cos'è che, sotto quella crosta, aveva fatto sì che avessi sentito il "mondano"Jep come fratello, cosa me lo aveva fatto sentire intimo, pur essendo io uno che da trent'anni vive su un monte e che è sempre fuggito a gambe levate ogni volta che la vita casualmente lo aveva spinto verso quegli ambienti, anche romani?

E' un tipo di sentimento,lo stesso che gli fa dire, da piccolo, che l'odore che preferisce è quello delle case dei vecchi.ed è la stessa sensibilità che gli permette di passare attraverso quell'umanità devastata quasi come Dante visitatore dell'inferno. Un visitatore, e aggiungo "pietoso", appunto.

Perchè' in realtà, lui abita un altro posto e ne ha piena coscienza.
Un posto che non esiste, ma che è dentro ciascuno di noi per sempre.
L'innocenza potente della adolescenza. Tutto il resto è solo contorno, a volte putrido, a volte struggente. E serve per stordirsi, per non pensare a quella perdita irrimediabile.

Da quel contorno, da quel vuoto terapeutico, inspiegabilmente e dolorosamente, a volte risalgono in superficie, più o meno in tutti i personaggi, brandelli di quell'umanità perduta, quasi come lamenti per una promessa che la vita non ha mantenuto. Un voler disperatamente tornare bambini, come la nobile davanti alla culla, come Jep di fronte alla zuppa preparatagli dalla editrice, lo sente Verdone, che vuol tornare al suo paese,lo sente la Ferilli.

La GRANDE BAMBINA è l'unica che custodisce il segreto, dondolando sulla poltrona e perdendo la scarpina: io mi nutro di radici, perchè le radici sono importanti.

Jep ripensa continuamente al suo amore di diciottenne, al suo mare di adolescente. Che perdita irreparabile, che inesorabile allontanamento da quello che tutti abbiamo pensato dovesse essere: Il nostro, comune, umano FUTURO DIMENTICATO! la nostra, comune, GRANDE BELLEZZA!

E a descrivere questo viaggio di allontanamento non bastano neppure le migliaia di foto di un bambino che si è trovato uomo senza sapere perchè.
Noi, naufraghi nell' insostenibile condizione umana, ne possiamo scorgere, se lo vogliamo e se lo possiamo, solo sporadici e preziosi bagliori al nostro orizzonte.

A che serve scrivere, se non la possediamo più questa bellezza?
Occorre provare a far rivoltare il volto di Elisa, che abita ancora quelle terre.
Allora sì, Jep tornerà a scrivere e tornerà ad abitare l'altrove di cui, con falso cinismo, ripete di non occuparsi.

Stefano Testa



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